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Blog di Confcontribuenti (Sez.Piemonte) e UpL

Liberalismo, utopia necessaria.

22 Giugno 2011 , Scritto da Confcontribuenti Piemonte Con tag #ITALIA

Tratto da:  

L'insostenibile leggerezza della libertà

 

  

Immagine trovata su forum.politicainrete.netOgni qual volta si prova a proporre qualsiasi riforma in senso liberale, giù piovono commenti tipo “troppo estremo” o “il popolo italiano è comunista dentro”. E se il liberalismo in Italia non fosse un’utopia? Parliamone. Sul serio. Prima che sia troppo tardi. 

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Il “benaltrismo” è una delle malattie patologiche di quella rissa male organizzata e peggio gestita che, nella penisola dei caciocavalli, usurpa il nome di ‘dibattito politico’. Chiunque abbia l’ardire di analizzare una qualsiasi questione con un minimo di raziocinio, proponendo magari soluzioni non campate in aria ma praticabili sul serio, viene sempre e comunque messo a tacere con la fatidica formula “ben altri sarebbero i problemi del paese, non queste quisquilie”. La tattica è ben conosciuta ed usata fino alla noia, quasi come la proverbiale “race card” di Ohblabla, ma ancora sfugge a qualsiasi politico o intellettuale di area liberal-liberista-libertaria l’antidoto per sfuggire a tale velenosa trappola.

Di fronte a questa vigliaccheria impiegata ogni cinque minuti da “giornalisti” e “politici” sinistri, le argomentazioni ben impostate, garbate e provviste di pezze d’appoggio non improvvisate sembrano squagliarsi come neve al sole, lasciando campo libero alle puttanate sinistre. Insomma, una vera e propria iattura. A questo punto la conseguenza logica del ragionamento non può che essere infausta. Le frasi fatte si moltiplicano, ma ritornano sempre al solito pensiero di base: “il liberalismo, in Italia, è un’utopia da intellettuali”. Il che sarebbe più o meno un modo gentile per dare a chi combatte per un futuro più libero e liberale del Don Chisciotte o dell’amabile idiota. La sostanza non cambia. Non c’è posto per voi e le vostre idee balzane. Troppi interessi, troppi anni di lavaggio del cervello, troppe chiacchiere nella testa della gente, troppo pensiero unico. La conseguenza imposta dai non molto amabili gestori della “conversazione politica” italiana è tanto chiara quanto inappellabile: o scendete a patti, tradendo le vostre idee, o ve ne andate. Qui comandiamo noi. Alla faccia del dialogo.

A questo punto, al liberale di nome e di fatto di spirito pugnace e contrarian sale il sangue agli occhi ed iniziano a prudere le mani. Alla fine, però, la ragione riprende il sopravvento (che sia questo il vero, inconfessabile problema dei liberali?) e si prova a ragionare sul come risolvere questo apparente enigma. Che l’Itaglia sia terra da sempre ostile al pensiero liberal-liberista-libertario è realtà difficilmente argomentabile. Che l’italiano medio sia ormai impregnato di statalismo, al punto da non riuscire nemmeno a concepire un futuro senza Stato, senza burocrati tracotanti ed irresponsabili a decidere del loro destino, senza pantofole od anelli da baciare per portare a casa la pagnotta, è anch’esso un fatto da accettare, a denti stretti, magari, ma da accettare. La realtà delle cose, anche nello strano mondo della politica italiana, non si può manipolare, a meno di non guadagnarsi un posto nel più vicino matticomio – o in Parlamento.

Seguire il fil rouge del ragionamento potrebbe a questo punto rivelarsi scomodo anche per il liberale più duro e puro. Il passaggio successivo è infatti il domandarsi se il liberalismo di stampo anglosassone non sia, almeno dalle nostre parti, niente più di una fantasia da idealisti. La saggezza popolare, il sesto senso e tutte le fibre da cremlinologi allenati da anni di politica politicante sembrano suggerire neanche troppo astrattamente che, sì, l’Italia è incompatibile intimamente con il liberalismo vero, quello dei vari von Mises, von Hayek, Schumpeter, Rothbard et al. In Itaglia si può solo essere socialisti o paternalisti, non si scappa dal substrato fondamentale, la concezione dell’essere umano come essere incapace di provvedere a sé stesso senza la benevola guida di un altro essere umano, da considerarsi ad esso superiore per capacità, moralità e generosità. In Itaglia si è sempre liberi di fare solo quello che lo Stato concede graziosamente di fare, sempre fino a quando non cambi idea, senza avvertimenti alcuni o ragioni sensate per tale cambiamento legislativo. L’Itaglia è e resta un paese di uomini e caporali, tanto più arroganti quanto incompetenti, tanto più ladri quanto si ammantano di buone intenzioni e belle parole.

Se queste considerazioni vi causano una reazione allergica come al sottoscritto, non si può fare a meno di domandarsi se il liberalismo, come lo intendiamo noialtri, noi figli di mamma Maggie e papà Ronnie, nipoti di nonno Winston e parenti dei tanti grandi liberali tricolori, da Einaudi a Panfilo Gentile, sia possibile da realizzare in maniera compiuta e non raffazzonata anche alle nostre latitudini. Visto l’attuale, penosissimo, stato del liberalismo italiano, i dubbi non possono che essere più che giustificati, accompagnati dai soliti pensieri foschi. Come fare a creare una base di consenso alla radicale trasformazione di quel consolidato intreccio di malaffare, interessi, ignavia, vigliaccheria ed opportunismo che prende il nome di sistema politico-affaristico itagliano? Come fare a consentire alle personalità preparate, coraggiose e bene articolate che esistono in gran numero nell’universo liberal-liberista-libertario di conquistarsi sul campo abbastanza spazio per proporsi alla guida di enti locali e poi, magari, del paese? Come fare a stimolare la nascita di una consapevolezza del continuo, perenne e mostruoso inganno a cui è stato sottoposto il popolo italiano dal 1923 ad oggi e della quantità spropositata di libertà che gli è stata sottratta “a fin di bene”?

Domande enormi, da far tremare i polsi anche al liberale più barricadero. Tutte, inevitabilmente, senza risposte chiare. La questione che circola nella coscienza collettiva liberale è quella di Vladimir Il’ič Ul’janov, quel “che fare” che, da buoni cultori del dubbio sistematico, viene visto da solo, senza facili soluzioni a prova d’idiota. La sensazione d’impotenza rischia di travolgere tutto, anche le tante buone intenzioni dei liberali di nome e di fatto. Eppure una soluzione deve esserci. Curare il malato terminale con dosi ancora più massicce del veleno che l’ha ridotto in fin di vita non è una scelta accettabile da chi sia capace ancora di distinguere il falso dal vero. Lo statalismo rosso e nero, il viscido paternalismo delle peggiori sacrestie, con tutte le sue vigliacche e blasfeme scorciatoie alla santità, hanno fatto il loro tempo. Il futuro o sarà liberale o non sarà.

Le prove sono disponibili a chiunque voglia leggerle, ad un solo clic di distanza dagli schermi di tutti gli italioti, medi o no che siano. A questo punto, più che soluzioni e bei discorsi, servono piani operativi, organizzazione, struttura, metodo, canali autogestiti per consentire alla straordinaria vitalità del mondo liberal-liberista-libertario di esprimersi liberamente. Tutta roba che costa, fatica ed impegno prima di tutto, ma poi anche fondi, da reperire in maniera indipendente ed atomizzata. Nessuno si sognerà mai di finanziare un movimento che si propone come principale obiettivo la demolizione della immensa mangiatoia alla quale si abbuffa da decenni la parte peggiore del paese, quella che vedremmo volentieri appesa ad un albero lungo la strada.

Alcuni di noi pensano che il modello organizzativo “a stella marina”, senza capi, segreterie e strutture tradizionali, fondato sulle reti reali e virtuali scelto dal Tea Party americano sia la via migliore per giungere al liberalismo di massa sognato da tutti noi. L’anniversario della prima manifestazione del Tea Party italiano in terra d’Italia è passato senza grande clamore, visto che si è scelto di festeggiare invece il Tax Freedom Day, il giorno nel quale (secondo i dati ufficiali) il cittadino inizia a lavorare per sé stesso, dopo aver foraggiato le infinite legioni di nullafacenti, figli di e raccomandati che pretendono di vivere alle spalle di chi lavora e fatica sul serio. Si sono indubbiamente fatti passi avanti, ma non v’è stata quella imperiosa accelerazione vista negli Stati Uniti che poi ha portato al trionfo delle elezioni di medio termine. Si dice che il clima politico e culturale è molto più ostile alle idee liberali e libertarie. Possibile, ma bisognerà pensare a come passare dalle dichiarazioni di intenti ai fatti, quali strade seguire per favorire la crescita di decine, centinaia, migliaia di Tea Parties locali, indipendenti, autonomi, autosufficienti, uniti solo dall’Ideale e dagli obiettivi comuni.

Altri modi per arrivare ai numeri necessari per incidere sul serio sull’infernale pantano italiota non ne trovo, ma forse è solo una mia limitazione. Una cosa è certa: il tempo a nostra disposizione per evitare il redde rationem definitivo ed il più che probabile risorgere di una qualche forma di totalitarismo statalista si sta esaurendo. La Storia non aspetta e, soprattutto, non offre seconde chances. Questo è il nostro momento, questo è il nostro tempo, questa è l’ora nella quale esprimere il massimo sforzo per far partire la vera rivoluzione, quella liberale, che riconsegnerà agli individui la libertà espropriata silenziosamente da burocrati, politicanti e spacciatori di ideologie. Il futuro dipende da noi, nonostante tutto. Niente passi indietro, stavolta.

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